Disagio adolescenziale: l’autolesionismo
“mi taglio quindi esisto”
Da sempre l’adolescenza, nel suo essere momento di cambiamento per l’individuo in crescita, è stata caratterizzata da modalità ed espressioni tipiche di manifestazione di questo cambiamento. Spesso le reazioni sono di disagio e di non accettazione di ciò che sta accadendo all’individuo sia dal punto di vista corporeo che di pensiero o d’identità personale. Ogni generazione ha manifestato caratteristiche specifiche e differenti nei diversi periodi storici. La mia esperienza di lavoro con gli adolescenti mi ha portato ad osservare negli ultimi anni un aumento di manifestazioni del disagio attraverso due modalità specifiche: l’autolesionismo e gli attacchi di panico.
La pratica dell’autolesionismo è ormai un fenomeno sociale, anche se solo da poco si è cominciato a raccogliere dati. Ma intanto alcune statistiche internazionali parlano già di un 10% di adolescenti fra i 12 e i 15 anni che “lo fanno”(soprattutto femmine), e con una diffusa tendenza all’aumento. Dire “cosa” fanno è difficile, perché chiudersi in bagno per tagliarsi le braccia con una lametta, un paio di forbici, un pezzo di vetro, o bruciarsi con la sigaretta, stringendo fra i denti un fazzoletto per non urlare, non è una cosa che si possa facilmente comprendere o spiegare. Sebbene, a detta degli esperti, l’effetto fisiologico del dolore da taglio, ripetuto ossessivamente, produca endorfine che, esattamente come le droghe, anestetizzano. E creano dipendenza. Il che spiega perché, poi, uscirne diventi, per loro e per chi tenta di aiutarli, un’operazione complessa. Una pratica di cui gran parte degli adulti neanche immagina l’esistenza, e però seduce sempre più pericolosamente la fascia d’età esposta al massimo di incertezza sulla propria identità. E’ proprio questa è la chiave di lettura, per dare un senso ad un comportamento che sembra assurdo (come spesso accade per i comportamenti adolescenziali), l’affermazione della “propria identità” dell’adolescente in un momento in cui è debole, vacillante, non ancora strutturata e messa costantemente in discussione da chi gli sta attorno. Perché il dolore, e comunque ogni forte sensazione fisica, serve per annullare quella di non esistere, o di un profondo dolore interiore, avvertito come ancora peggiore, da cui distogliere a tutti i costi il pensiero. Scatenato, all’apparenza, da problemi normali, un litigio, una delusione amorosa, l’offesa di un amico, che in personalità strutturate vengono governati, e in altri casi invece deflagrano. Un invito ai genitori quindi, al primo segnale (strane cicatrici, maniche lunghe anche d’estate, bracciali vistosi, macchie di sangue a letto e in bagno, oggetti da taglio nel beauty case, ecc.), invece di dare in escandescenze, si provi a capire (e nel caso si contatti subito uno psicologo), facendo capire al proprio figlio che forse ci sono altri modi per farsi ascoltare.